Mettendomi nei panni di una persona che cerca uno psicologo o un terapeuta mi sono resa conto che non è affatto una scelta facile, per varie ragioni: aspettative, stile di conduzione della seduta, modalità relazionale agita, obiettivi del percorso.
E’ importante, a mio avviso, trovare un rispecchiamento tra noi e l’altro, ovvero cogliere delle similitudini di pensiero o di comportamento nelle persone con cui ci troviamo a che fare: in fondo questo processo è quello che ci guida a scegliere un amico piuttosto che un altro, così come questo o quel terapeuta.
Nel campo della psicologia, una persona potrebbe cercare un professionista con modalità accogliente, empatica, capace di creare un confronto senza imporre il proprio punto di vista e collaborativo; qualcun altro, invece, potrebbe trovarsi meglio con un terapeuta più “medicalizzato”, che fornisce la soluzione del problema entro un numero prestabilito di sedute, limitando il coinvolgimento emotivo del paziente, avvalendosi di protocolli rigidi e oggettivi.
Ma come fare per capire quale è il terapeuta più congruente alle proprie caratteristiche?
Oggi tanti professionisti presentano il loro modo di lavorare e il loro pensiero attraverso siti internet, ma a volte succede che diano per scontato che i pazienti conoscano la terminologia tecnica e si esprimano come se stessero parlando con dei colleghi.
Probabilmente anch’io ho fatto lo stesso errore, perciò ne approfitto per spiegare più semplicemente il mio approccio.
L’orientamento: sistemico e dialogico.
Per sistema intendo il singolo, la coppia o la famiglia che esiste grazie alle relazioni che intreccia col mondo esterno e che, proprio grazie a queste relazioni, si rapporta nei vari contesti di vita; per dialogico intendo l’idea “…che ciascuno di noi abita mondi separati che necessitano di un dialogo per poter comunicare tra loro.” (Bertrando, 2014)
A prima vista questi orizzonti, il sistemico e il dialogico, sembrano isolati tra loro, proprio perché il loro focus è diverso, in realtà sono strettamente connessi in quanto se un sistema è il risultato di una relazione è altrettanto vero che la relazione si basa sullo scambio, sul dialogo.
Può accadere che emergano dei problemi di comunicazione all’interno di un sistema e che questi minino la stabilità della relazione: per tale motivo risulta necessario fare una riflessione su ciò che sta accadendo e sul perché la comunicazione che andava bene fino a poco fa ora non è più funzionale al benessere del sistema.
Quello che cerco di fare nella mia pratica clinica è innanzitutto comprendere il significato che il paziente attribuisce ad una parola o alle situazioni che ha vissuto. Faccio un esempio: se ad una coppia chiedo cosa intendono per “felicità” non deve stupirmi se mi restituiscono due risposte completamente diverse. Anche di fronte ad un’esperienza vissuta insieme ciascuno può darne un’interpretazione differente. L’obiettivo in terapia non è dare ragione a uno o all’altro o ancora cercare la risposta giusta, ma rendere i pazienti consapevoli del punto di vista dell’altro, cioè di una possibile e diversa interpretazione di ciò che lui ha sempre vissuto e letto in un determinato modo.
Dialogare sulla differenza produce novità, nuovi modi di creare e stare in relazione. Sembra un concetto banale ma non lo è, perlomeno non per la maggior parte delle persone che vivono problemi di natura comunicativa.
Un altro aspetto che cerco di analizzare durante il percorso terapeutico è comprendere se il paziente è cosciente di dove è e che cosa prova. Siamo infatti davvero sempre consapevoli che in base al contesto in cui siamo-scuola, lavoro, palestra,tra amici- ci poniamo agli altri in un determinato modo e utilizzando un certo linguaggio? Spesso no. Questo “modo” di leggere il posizionamento del paziente si definisce “situarsi”. Durante i colloqui il paziente diviene sempre più consapevole del suo esserci fisicamente, di come si sente, i cambiamenti che questa consapevolezza comporta e l’eventuale comprensione del posizionarsi del partner o degli altri membri della famiglia.
Di conseguenza, una volta evidenziati i problemi e le posizioni del sistema rispetto al problema, comincio a lavorare col sistema stesso al fine di costruire un nuovo modo di dialogare, di porsi e stimolare nuove emozioni che risultino funzionali al benessere del paziente e alle relazioni con gli altri. Si tratta proprio di vivere insieme l’incertezza che la novità e il cambiamento portano trovando un nuovo e più funzionale di stare e dialogare in sistema.
Non nascondo che questi cambiamenti generano in un primo momento confusione, incertezza e imprevedibilità rispetto al risultato di tale lavoro: un altro aspetto di cui mi occupo riguarda proprio il tollerare l’incertezza che l’introduzione di una novità o di una differenza generano entrando nell’ordinaria vita del paziente.
Tutto questo lavoro prevede impegno, un buon grado di coinvolgimento emotivo e un concreto mettersi in gioco sia del paziente che del terapeuta che lo sostiene in tutto il processo terapeutico. Ma ovviamente l’artefice del cambiamento e del ritrovato benessere è il paziente stesso.
Bibliografia
Bertrando P., 2014 “Il terapeuta dialogico. Dialogo e pratica sistemica” Torino: Antigone edizioni