
Il termine “Mobbing” rappresenta un insieme di comportamenti violenti di natura psicologica e fisica messi in atto da un gruppo di persone nei confronti di altri soggetti, pertanto rappresenta una forma di abuso.
Il termine venne coniato agli inizi degli anni settanta del XX secolo dall’etologo Konrad Lorenz per descrivere un particolare comportamento aggressivo tra individui della stessa specie, con l’obiettivo di escludere un membro del gruppo; nel 1972 il medico svedese Paul Heinemann utilizzò il termine come sinonimo di bullismo, in una ricerca sull’aggressione di singoli bambini da parte di gruppi di coetanei; negli anni ’80 lo psicologo svedese Heinz Leymann, definì il mobbing nell’accezione attuale: “una comunicazione ostile, non etica, diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo individuo.”[1]
Nonostante, quindi, sia stato impiegato in contesti differenti, il mobbing rappresenta azioni aggressive agite su determinati soggetti. Oggi si sentono molte persone che hanno dovuto lasciare il proprio posto di lavoro perché vittime di mobbing: ma in cosa consiste esattamente questo fenomeno ormai così tanto diffuso?
Iniziamo col dire che esistono due principali tipologie di mobbing: quella che si verifica tra un superiore e un sottoposto e quella che si verifica tra pari.
La prima tipologia viene anche definita “Bossing”: le ragioni di tale fenomeno possono essere diverse, come ad esempio l’antipatia nutrita per il soggetto, una necessaria riduzione dell’organico, l’eliminazione di un indesiderato, con l’obiettivo di portare il soggetto a dimettersi.
Pertanto si iniziano a mettere in giro voci negative sul conto della vittima o sul conto di altri che sarebbero state dette dalla vittima stessa; si affidano alla vittima compiti ingrati o che non rientrano nelle sue mansioni ordinarie; ancora, viene criticato aspramente il suo lavoro, anche se è fatto bene, umiliandola apertamente e insultandola; purtroppo può accadere che il maltrattamento venga agito anche attraverso comportamenti fisici violenti.
Il mobbing, come già detto, può avvenire anche tra colleghi e rappresenta un insieme di persone che trovano un capro espiatorio attraverso cui esprimere, ad esempio, stress legato alla disorganizzazione dell’ambiente di lavoro o la propria inefficienza e inadeguatezza. La scelta della vittima è generalmente legata al fatto che essa non è integrata nell’organizzazione lavorativa per diversi motivi che possono essere di natura sportiva, etica, religiosa o addirittura perché diversamente abile.
Immaginiamo lo stato psicologico della vittima: ripetute azioni verbali e fisiche lo inducono ad avere un’immagine distorta di sé, portatrice di colpe non reali, provocando dei disturbi, come ad esempio quello da disadattamento lavorativo o il disturbo post-traumatico da stress, insonnia, tachicardia, perdita di autostima, depressione, che alla lunga possono diventare cronici e intaccare anche altri aspetti della vita (familiare, sociale, interpersonale e così via).
Spesso la vittima si vede costretta a licenziarsi per salvaguardarsi, anche perché il reato di mobbing non è sempre evidente o immediatamente dimostrabile. In Italia, infatti, non esiste ancora una legislatura per il reato di mobbing, il quale si inserisce in altre fattispecie di reato, come ad esempio l’abuso d’ufficio. Generalmente viene risarcita il danno biologico, cioè a fronte di malattie documentate provocate dal contesto lavorativo la vittima viene risarcita economicamente.
Non viene invece riconosciuto e risarcito il danno morale,
che risulta per la vittima un aspetto complesso da affrontare e superare. A
fronte di comportamenti violenti e vessatori reiterati nel tempo sarà
necessario considerare un percorso terapeutico di natura psicologica che abbia
come obiettivo la decostruzione di un’immagine di sé negativa e falsa che venga
sostituita da un’immagine reale, fondata su risorse, premesse, interessi,
competenze e limiti del soggetto. Se si sono verificati disturbi importanti
bisognerà lavorare sulle cause che li hanno determinati, sul significato che
hanno avuto per il soggetto e sul modo per eliminarne i sintomi. Solo lavorando
su ciò che ha creato disagio e difficoltà è possibile ri-conoscere il proprio
valore e far tesoro di ciò di cui ci si è resi consapevoli per affrontare più
strumentati nuove esperienze e non rischiare di incappare in un’altra spirale
vessatoria e destabilizzante.