Coronavirus : andrà tutto bene…?

Coronavirus

Circa due mesi fa ci siamo trovati di fronte ad un’emergenza di portata devastante, che ha indotto il Paese a modificare le sue condotte sia sociali che economiche. Oggi passiamo le giornate a casa, chi lavorando in modalità smart working, chi  rivoluzionando il suo ambiente domestico, chi studiando, chi giocando con i propri figli, chi cucinando, chi facendo esercizio fisico,…

In qualche modo questa imposizione ha influito anche sul nostro modo di pensare a come affrontare l’emergenza e ha attivato una profonda riflessione sul nostro modo di stare in relazione, sul valore che diamo all’altro e di imbastire nuovi progetti “per quando tutto tornerà alla normalità”. Già, perché ”tutto andrà bene”.

Io credo che questo slogan sia da un lato funzionale per contenere i sentimenti legati all’ansia , alla paura, all’impotenza e all’incertezza che il Coronavirus ha nutrito fino ad ora, ma dall’altro temo possa coincidere con un dictat entro cui si rimane incastrati e non permette un fluido ragionamento critico sul “come” ciascuno di noi può fare in modo, nel suo piccolo, che possa realmente andare tutto bene, per se e per gli altri.

Se l’andare tutto bene coincide con un ritorno in toto alla normalità vissuta fino a un paio di mesi fa ecco che il pensiero critico si è già arenato: come possiamo credere di riuscire a voltare pagina, “facendo come se nulla fosse successo”, quando il Coronavirus ha portato a migliaia di morti, a famiglie che non hanno potuto piangere i propri cari senza uno straccio di rito, alle professioni sanitarie a gestire lo stress psicologico legato all’emergenza?

Siamo consapevoli che questa situazione ci ha cambiati per sempre? Probabilmente no. Ci rendiamo conto che le conseguenze saranno devastanti e a lunga durata? Forse. Possiamo imparare qualcosa da questa emergenza? Dipende.

Se cerchiamo di dare una risposta personale a queste tre domande potremmo aprire gli occhi su una nuova realtà, fatta di incertezza ma anche di curiosità nel capire dove ci ha portato il Coronavirus , a riconoscere delle parti di noi che ci hanno permesso di reagire costruendo un nuovo sguardo verso noi stessi e gli altri.

Questo significa che dobbiamo vivere la quarantena prendendoci cura di noi stessi, trasformando questa cura in Arte, intesa come capacità spirituale che ha come obiettivo il cogliere noi stessi, conoscerci. Lavorare sul nostro corpo e sulla nostra anima ci permette di attivare delle risorse che sono funzionali al nostro modo di vivere e agire, anche nelle relazioni.

Questo, quindi, non implica il tanto desiderato abbraccio che tutti vogliono dare a tutti quando potranno farlo, bensì porta a distinguere ciò che voglio io da ciò che è desiderabile socialmente.

Dubito fortemente che ci si guarderà con affetto l’un con l’altro quando tutto questo sarà finito, piuttosto verranno ad incrociarsi sguardi di diffidenza, sorrisi di circostanza e nella testa di chi incontreremo si moltiplicheranno dubbi e domande sul nostro stato di salute.

Vivremo uno scollamento tra ciò che è stato detto attraverso i social, il tanto apprezzato “andrà tutto bene” e la realtà, fatta di indifferenza, di pregiudizi negativi, di egoismo e cliché.

In questo senso sì che si tornerà alla normalità.

Ma siamo pronti ad essere “coraggiosi” e metterci in campo con la giusta dose di pensiero critico? Prenderci cura di noi significa essere coerenti con noi stessi, e accogliere idee diverse, attivare il confronto, non respingerlo.

Se decideremo di farlo avremo dato il nostro contributo alla nuova realtà che si sta ri-costruendo. E avremo appreso appieno il significato di resilienza.

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